Lesbo, tra coloro che son sospesi

Il partner locale del progetto Snapshots from the Borders, al fondazione Eloris, ha organizzato una visita sul campo nell’isola di Lesbo. La fondazione, nel parternariato, rappresenta la Regione Nord Egeo che comprende, oltre a Lesbo, Chios, Psara, Oinousses, Ikaria, Fournoi, Korseon, Lemnos, Agios Efstratios e Samos.

Mary Konstantoglou, la direttrice di Eloris, con la responsabile della comunicazione e dei progetti europei Ralou Tatari e il responsabile finanziario per i progetti europei,  Dimitris Lamprou, hanno guidato la delegazione nella visita della città di Mitilene e dell’isola di Lesbo.

Il primo giorno, nella sede della fondazione, si è tenuto un incontro tra la delegazione e il vice-governatore della Regione Nord Egeo, Dimitris Koursoubas, dove si è potuto avere un confronto sulle pratiche dei territori di frontiera, tra il modello italiano (con le navi quarantena e l’hotspot di Lampedusa in particolare) e quello greco ancora legato all’idea  – almeno sulle isole – al modello dei campi.

La delegazione è stata poi ricevuta nella sede dell’Unhcr sull’isola. Theodoros Alexellis, Assistant Liasion Officer, ha raccontato di come i numeri degli arrivi sull’isola, negli ultimi due anni, hanno subito una importante diminuzione.

“A Lesbo, dal 2015 al 2016, sono arrivate 650.000 persone, rispetto al milione di persone giunte in tutta la Grecia nello stesso periodo. Al momento si trovano sull’isola 3500 persone, una minima parte di queste sono alloggiate in alcuni appartamenti privati con il sostengo dell’Unhcr e delle associazioni solidali, in base a graduatorie elaborate rispetto ai criteri di vulnerabilità. Gli altri si trovano nel centro temporaneo che è sorto dopo l’incendio del campo di Moria nel 2020. In generale, la direttiva governativa è quella di avere un unico campo per ciascuna delle grandi isole dell’Egeo e il modello sarà quello dell’isola di Samos di recente costruzione. Se pensiamo alle condizioni degli alloggi ai tempi di Moria, sicuramente all’interno di quel campo (che dovrebbe essere pronto a settembre 2022, ma i lavori sono in ritardo) ci saranno migliori condizioni abitative, anche se il livello di controllo sarà massimo. Si può discutere sul modello campo in generale, ma di sicuro le violenze del marzo 2020 – quando erano sull’isola fino a 20.000 persone – contro migranti e operatori umanitari e le scarse condizioni di sicurezza per i migranti e la popolazione locale non dovrebbe mai più presentarsi. Il nuovo campo, che avrà una capienza massima di 5.000 persone, avrà una locazione molto remota sull’isola, ma si cercherà di garantire dei collegamenti. Per noi di Unhcr è fondamentale garantire l’accesso alla richiesta di asilo e a una forma di pre-integrazione: oggi i tempi di analisi delle domande sono molto migliorati, ma c’è ancora molto lavoro da fare”.

Rispetto al perché i numeri degli arrivi siano calati, Alexellis ritiene che si tratti della somma di differenti fattori, che passano dai maggiori controlli da parte della Turchia e però anche da respingimenti illegali sui quali l’agenzia Onu continua a vigilare.

La visita al campo temporaneo, che sorge nei pressi del centro cittadino, avviene il giorno dopo. Un funzionario del campo ha condotto la delegazione di Snapshots from the Borders a visitare la struttura, divisa in tre zone: gialla, blu e rossa. Al centro della struttura c’è la zona Covid, per le quarantene dei nuovi arrivi e l’eventuale degenza delle persone che risultassero positive. Una zona è per le donne sole o con bambini, una per gli uomini soli e una per le famiglie. Le condizioni del campo, che ha dei container, ma ancora molte tende, è resa difficile dalle condizioni climatiche. Una tenda, nei giorni precedenti, aveva preso fuoco per il tentativo di scaldarsi degli occupanti. Non c’è alcuna recinzione e il campo si affaccia direttamente sul mare, con rischi per i più piccoli. La struttura, inoltre, sorge su un vecchio poligono militare e sulla bonifica del sito non sono state fornite garanzie sufficienti. Le attività nel centro, affidate a ong che però sono ospiti e non legate a un protocollo di attività, sono molte almeno come previsione, ma le strutture – in particolare quelle scolastiche – sembrano ferme e manca in alcune l’elettricità, nonostante il campo ormai funzioni da un anno. I servizi igienici sono lontani dalle tende, elemento che complica la vita ad alcuni ospiti.

La visita al vecchio campo di Moria, che è bruciato a settembre 2020, lascia una sensazione di amarezza: le strutture ridotte a macerie, gli ulivi che circondavano la ex base militare inceneriti, cumuli di filo spinato e oggetti appartenuti alle persone che ci abitavano sono ancora là sul terreno a ricordare a tutti cosa è accaduto.

Sul lungomare, di fronte alla Turchia, c’è la statua della ‘madre profuga’, che ricorda gli scambi di popolazione del 1922 tra Turchia e Grecia, quando intere famiglie vennero deportate oltre confine. I profughi di oggi sono come quelli di ieri, ma la storia a volte non ha memoria.

FOTO DI ELEANA ELEFANTE

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