Regione Nord Egeo

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“Sono nel progetto fin dall’inizio. Da quando abbiamo iniziato a lavorare nel periodo della crisi dei rifugiati nel 2015 sentivamo forte la necessità di connetterci con altre realtà in Europa per trovare tutti assieme le soluzioni di un fenomeno così imponente. E quando Pietro Pinto ci ha contattati per unirci a questo percorso, con Lampedusa come capofila, è stato naturale per noi aderire. Volevamo imparare e raccontare quello che avevamo imparato con la nostra esperienza”.

Mary Kostantoglou, direttrice di Eloris S.A., vive in prima fila la realtà di essere ‘confine’ nell’isola di Lesbo. La fondazione che dirige nasce nel 1995, occupandosi di ricerca, educazione, sviluppo nella regione del Nord Egeo, in Grecia. Oltre all’isola di Lesbo, ne fanno parte altre grandi isole, a pochi chilometri dalla costa turca, come Samos o Chios. Ed è proprio questo che le rende una meta di sbarchi di migranti, rifugiati e richiedenti asilo da tempo, ma dal 2015 con un’impennata di arrivi.

“Problemi comuni, soluzioni comuni. Per noi è stato naturale essere parte di tutto questo. All’inizio non volevo avere aspettative particolari, ma ho subito pensato che il network che nasceva con Snapshots from the Borders fosse una grande opportunità per tutti noi. Ed è stato propri così”, racconta Mary. “Il fatto che noi rappresentiamo una regione intera, ovviamente, è diverso dalla partecipazione che ha una singola municipalità, ed è diverso anche dalle comuni realtà della società civile, perché la nostra fondazione è legata alla Regione. Siamo stati per certi versi una realtà unica nel suo genere all’interno del progetto”.

La natura di Eloris S.A. – Società per la ricerca, l’istruzione, l’innovazione e lo sviluppo della Regione del Nord Egeo è particolare. E’ stata fondata nel 1995 dal Governo della Regione del Nord Egeo insieme all’Associazione Regionale dei Comuni del Nord Egeo. Questi due enti pubblici sono gli azionisti della società fino ad oggi, pur lavorando in autonomia dagli enti locali, resta una realtà istituzionale.

“Lavoriamo sia con le autorità regionali che con quelle municipali delle isole e Mitilene in particolare, come Lesbo in generale, sono interessati in prima linea dai flussi di migranti. Siamo praticamente di fronte alle coste turche, è una parte delle nostre vite essere sul confine, ma questo non deve diventare un problema, anzi, una ricchezza”, racconta Mary. “Come fondazione lavoriamo allo sviluppo delle comunità locali, economicamente e culturalmente. Le isole sono mondi a parte. C’è un senso di isolamento e di lontananza con il quale bisogna imparare a convivere e farne una ricchezza. Dopo i miei studi in Gran Bretagna ho deciso di tornare qui, perché vivere qui è una scelta, che ha i suoi vantaggi, per esempio qui la crisi economica del passato o la pandemia sono state meno gravi”.

Mitilene è il centro più importante di Lesbo, dove vive un terzo della popolazione dell’isola, di circa 90mila persone. Solo tra il 2015 e il 2016 furono 650mila le persone arrivate dagli sbarchi sull’isola, mentre oggi si trovano nel centro transitorio che ha sostituito il campo di Moria (bruciato nel 2020) circa 3000 persone. Una situazione complicata che ha portato tutta la comunità a vivere momenti di grande solidarietà, ma anche di difficoltà.

“Il momento più importante del progetto Snapshots, per me, è stato il kick-off meeting. L’inizio mi ha colpita, mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con altre regioni e città di confine, per condividere le nostre esperienze”, racconta Mary, “ma anche per cogliere le differenze. Perché Lampedusa non è Grand-Synthe. Le specifiche differenze e le comuni problematiche mi hanno dato un quadro completo del lavoro che si può fare anche qui”.

In una regione che conosce la frontiera e le migrazioni da sempre. “I numeri che hanno interessato questo territorio sono molto diversi, e molto più grandi, del resto d’Europa. Non è facile aspettarsi solo solidarietà dalla nostra comunità, che pure non è mancata. Ma qui le persone si sentono lontane dal governo centrale e dall’Europa, lasciate un po’ al loro destino. Ecco, l’idea è che bisogna essere solidali con i migranti, che non vogliono stare qui e con la popolazione locale, che a volte si sente prigioniera di questa situazione. Nessuna isola è una prigione e non lo deve mai diventare. Tutti hanno diritto a essere liberi: migranti e popolazione locale. E nessuno vuole che Lesbo e le altre isole diventino prigioni”.

Una sensazione che le isole Canarie, in Spagna, e Lampedusa, a volte, per le scelte delle autorità centrali hanno avuto. “Vogliamo una soluzione sostenibile, in tutti i sensi. Sostenibilità umana, economica, per i diritti umani, pari opportunità per tutti, migranti e locali”, risponde Mery.

“Il lavoro non è finito, anzi, è solo all’inizio. Pur rappresentando una regione e non una municipalità, vogliamo essere nel Board of Towns and Islands Network per continuare a lavorare assieme alla rete che si è creata con Snapshots From The Borders e continuare a portare proposte al governo centrale greco e alle istituzioni europee per governare i flussi migratori in modo umano e legale. E i governi devono ascoltare le nostre voci, perché loro sono lontani da qui”, conclude Mary.

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