#BorderTales – Il vecchio di Traiskirchen

09 LUGLIO 2019

Esistono luoghi che hanno una storia da raccontare. Paesaggi che, per la loro posizione o per una sorta di destino, si trovano sempre all’incrocio delle strade della Storia. E come sempre, la Storia non è altro che la somma di milioni di piccole storie.

Traiskirchen, a pochi chilometri da Vienna, cittadina di quasi 20mila abitanti adagiata nella Thermenlinie della Bassa Austria, tra sorgenti termali e vigneti, è uno di questi luoghi.

Tra l’Impero Austro-Ungarico e il regime nazista, fino a oggi, la Storia è passata e ha lasciato a Traiskirchen tracce, storie, vite sospese e in fuga in mezzo a tanta quiete. 

Per conoscere questa storia, come se i muri potessero parlare, dovete partire da un luogo simbolo: la Bundesbetreuungsstelle für Asylwerber (Ufficio federale di assistenza per i richiedenti asilo). Un edifico grande, antico, in stile imperiale. Nato nel 1903 come caserma per l’addestramento delle truppe di artiglieria dell’esercito imperiale, dopo la fine della prima guerra mondiale diventa una scuola per cadetti, fino all’avvento del nazismo, che la trasforma in una scuola d’èlite per giovani reclute del famigerato NaPoLA (da Nationalpolitische Lehranstalten), l’istituto che selezionava per razza e fedeltà i cosiddetti ‘figli di Hitler’, destinati a diventare i leader delle SS.

La caserma, come un anziano seduto in piazza, guarda passare imperi veri e imperi fasulli, guerre e accordi di pace, vivendo sotto la monarchia e la repubblica. Capace di restare sempre in piedi e di accogliere vite in fuga, immobile e allo stesso tempo attraversando la storia, con il meraviglioso massiccio dello Schneeberg sullo sfondo. 

E la storia non era finita nel 1945, periodo durante il quale era diventato un ospedale militare. Perché dopo la guerra, già dagli anni ’50, la caserma si scopre a vigilare una nuova frontiera: quella della Guerra Fredda tra Occidente e blocco socialista. A guerra finita, per un pezzo, diventò il quartier generale delle truppe sovietiche presenti in Austria, ma quando si ritirarono restava una divisione netta, una ‘cortina di ferro’. Che qualcuno cercava di attraversare. Ed ecco che da luogo di preparazione militare e di guerra, il vecchio edificio si ritrova, come in una nuova nascita, a diventare luogo di accoglienza.

I primi furono gli ungheresi in fuga, nel 1956, dalla repressione sovietica della rivolta di Budapest. Poi fu la volta, nel 1968, dei cechi in fuga dalla ‘primavera di Praga’, e poi, nel 1973, tra i suoi eterni corridoi cominciò a sentirsi parlare la lingua spagnola, quella dei dissidenti cileni in fuga dalle stragi del regime di Pinochet, passando per iraniani e iracheni, tra guerre e rivoluzioni. E ancora, nel 1982, venne il tempo dei polacchi dopo l’ondata di scioperi e la messa al bando del movimento Solidarnosc, non senza aver dato rifugio ai profughi di altre guerre lontane: Vietnam, Uganda. E poi, ancora, di guerre vicine, come quelle della ex-Jugoslavia tra il 1992 e il 1995. Alla fine degli anni ’80 era stata la volta dei rumeni, in fuga dal collasso del regime di Causescu. E all’epoca della ‘guerra globale al terrorismo’, dal 2001, è il tempo di afgani e iracheni, che hanno visto i loro paesi esplodere sotto i colpi di una democrazia da esportare senza grandi risultati.

Tra le mille vite, ordinarie e straordinarie, che le pareti della vecchia caserma potrebbe raccontarvi ci sono quelle di Paul Lendvai e Ioan Holender. Giornalista e scrittore ungherese il primo, direttore d’orchestra rumeno il secondo. Profughi, spaventati e soli, come tutti i profughi, ai quali è stata tesa una mano, è stata data un’opportunità. E vien da pensare a quanto talento si perde, ogni giorno, tra i flutti del Mediterraneo.

Mura bianche, grandi finestre, che hanno visto passare la storia. Storie tutte diverse eppure tutte uguali: paura, fuga, libertà. Vivere e sopravvivere. Una storia straordinaria per un ruolo senza eguali di testimone dei sommovimenti della politica globale, ta chento il drammaturgo Michael Zochow – a sua volta profugo – dedicò alla cittadina un’opera intitolata Traiskirchen, che in una sorta di Sogno di una notte di mezza estate, rende possibile l’incontro scenico di generazioni di persone in fuga.

E la storia, nel 2015, torna a passare da Traiskirchen. Questa volta sono i siriani a scappare da una guerra tremenda, più lunga dei conflitti mondiali. E ancora una volta, la vecchia caserma e la città, non voltano le spalle a chi scappa dalla guerra.

Sono cambiate molte cose, però. A coloro che, in fuga dal comunismo, venivano accolti come eroi, o a coloro che in fuga dalla guerra venivano salvati semplicemente perché era giusto, si sono sostituiti nuovi profughi, ma è cambiato il modo di raccontarli. Tra tensioni all’interno delle stesse istituzioni, nel conflitto tra chi vive da sempre il confine e chi dalla capitale parla dei confini, non sono mancate le polemiche. Eppure non è difficile trovare decine di immagini dei cittadini di Traiskirchen che portavano generi di conforto alle famiglie nel centro. Con il motto, lanciato dall’amministrazione comunale: “Trasforma la nostra rabbia in coraggio”.

Non è solo l’accoglienza che rende speciale Traiskirchen. Perché non di solo pane vivono le persone. Ecco che, da anni, il progetto Garten der Begegnung (il giardino dell’incontro) mette assieme cittadini e richiedenti asilo, che sviluppano assieme un progetto collettivo di agricoltura biologica, sartoria, cucina. Il bello cura e non cura solo i richiedenti asilo, perché del progetto beneficiano le fasce deboli della popolazione locale, con progetti di sostengo psicologico e materiale. Come il progetto del Mommy’s Coffee Time, che è diventato un punto di ritrovo e reciproco sostegno per le madri della città, che siano austriache, siriane o di qualsiasi parte del mondo. Perché aiutare, aiuta.

Traiskirchen non dimentica, il suo vecchio edificio è ancora là a ricordare che la storia fa dei larghi giri, per poi tornare. E a tutti può capitare di aver bisogno di un rifugio sicuro. Lo ricorda a tutti la targa nel vecchio cimitero della cittadina, con il monumento ai caduti dei due conflitti mondiali.
La targa recita: “Non pensare di avere milioni di nemici: il tuo unico nemico è la guerra”. E a Traiskirchen, per chiunque passi, c’è un vecchio edificio a ricordarlo a tutti.

di Christian Elia