#BorderTales – Puglia, la casa rossa

30 DICEMBRE 2020

Il Museo della Memoria e dell’Accoglienza ricorda i profughi di ieri

Sono sempre di più i visitatori da tutto il mondo che in questi anni scoprono la Puglia e se ne innamorano. Una visita particolare meriterebbe una casa rossa, che sembra come tante, ma che porta con sé una storia che arriva da lontano e ci racconta dei profughi di ieri, per comprendere meglio i profughi di oggi.

Santa Maria al Bagno è un piccolo centro in provincia di Lecce, nei pressi di Nardò, nell’estremo sud della penisola del Salento. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, in tutta quella zona, nacquero una serie di campi profughi per le decine di migliaia di persone che avevano perso tutto: la casa, il lavoro, la famiglia e spesso anche la patria.

Questo era il caso di migliaia di ebrei che, sopravvissuti all’orrore dell’Olocausto, avevano raggiunto le coste italiane, nella speranza di raggiungere la Palestina. Non si sentivano più di appartenere a paesi che li avevano confinati, deportati e assassinati. Quello che succederà in Medio Oriente, dopo il 1948, è un’altra storia. Ma in quella casa rossa, passarono persone in fuga, da altre guerre, ma con la stessa disperazione dei profughi di oggi.

Quei campi profughi erano gestiti dalla United Nations Relief and Rehabilitation Administration (Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione), nota con la sigla Unrra, un po’ la madre dell’attuale Unhcr, che sorgevano all’interno di ex campi di internamento fascista, scuole, caserme, edifici pubblici o in case grandi sequestrate agli abitanti del luogo. Questo è stato il caso di molte zone del Salento, come di Santa Maria al Bagno, un piccolo borgo di pescatori.

Proprio fuori dalla cittadina nacque il Displaced Persons Camp n° 34 che divenne presto un luogo vivo e animato: una sinagoga, una scuola, un piccolo ospedale, l’ufficio postale. E corsi e laboratori di falegnameria, pesca, sartoria. Il forno del campo divenne una meta anche per i residenti locali che, dopo la devastante guerra, non se la passavano benissimo neanche loro. Lo scambio tra pane prodotto dai profughi e il pesce dei pescatori di Santa Maria al Bagno divenne quotidiano.

L’attesa della partenza verso il loro futuro ha lasciato ricordi indelebili sia nei profughi che nei residenti, molti dei quali ancora ricordano quelle persone, anche per gli oltre 400 matrimoni che vennero celebrati nel campo fino al 1947, quando chiuse. 

Oggi quella vecchia e grande casa è diventata il Museo della Memoria e dell’Accoglienza, per ricordare quelle vite di passaggio e la solidarietà della comunità locale, per guardare alla lezione di ieri per imparare il rispetto verso i profughi di oggi.

La struttura, in particolare, è decorata dai murales del pittore Zivi Miller, anche lui a suo tempo profugo nella struttura. Nel 2005 la cittadina è stata insignita dell’onorificenza della medaglia d’oro al valor civile, la casa rossa resta là, per visitatori e studenti, a raccontare la storia degli oltre 40mila profughi ebrei che passarono da quelle terre, accolti e protetti, prima di rifarsi una vita.

di Christian Elia