Lampedusa, ancora una volta la narrazione di un’emergenza che non esiste

21 MAGGIO 2021

Lampedusa avamposto di umanità

Nelle ultime settimane, compresa la notte tra il 16 e il 17 maggio scorsi, per le buone condizioni del mare, si sono registrati sbarchi di migranti partiti dalla Libia sull’isola di Lampedusa.

Al momento c’è una sola nave umanitaria, la SeaEye, che ha già compiuto dei soccorsi al largo della Libia, e tre navi quarantena attive, la Splendid, la Azzurra e la Allegra, che dovrebbero essere affiancate da altre navi nei prossimi mesi.

Secondo il ministero dell’Interno italiano, gli arrivi dalla Libia sono in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Finora, nel 2021, sono arrivate 12.894 persone, il triplo di quelle arrivate nello stesso periodo del 2020. Ma anche le vittime sono aumentate: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono più di cinquecento, il triplo di quelle dello scorso anno.

Inoltre dall’inizio del 2021, 7.700 persone sono state intercettate e riportate indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica.

Sono numeri che non stupiscono, perché era noto a tutti che con l’allentamento delle misure dovute alla pandemia sarebbero ripartite le barche dalla Libia, ma come ogni volta l’Unione europea sembra essere sempre di fronte a un’inattesa emergenza.

Per le prossime settimane nelle istituzioni europee c’è in agenda un confronto sul Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo, ma come orami molti osservatori hanno fatto notare, si punta sugli stessi mezzi che fino a oggi non hanno dato risultati, mentre una via alternativa, come il Global Compact, resta sullo sfondo.

Lampedusa in prima fila, come sempre, garantisce l’accoglienza e la salvezza, ma non può essere lasciata sempre sola. C’è stato un momento, in questi giorni, quando più di 1.400 persone erano nell’hotspot dell’isola. L’isola, come sempre, ha gestito la situazione, ma quello che ormai è inaccettabile è che vengano lasciati sole la comunità e le istituzioni locali, perché basterebbe attivare e organizzare procedure rapide di redistribuzione per non gravare su Lampedusa, smettendo di raccontare sempre un’emergenza e strumentalizzando politicamente la vicenda.

Le persone, dalla Libia, partono e partiranno. Le persone, in Libia, subiscono torture e abusi. Alle navi umanitarie – con mille tranelli burocratici – viene impedito l’intervento, mentre a Lampedusa viene scaricato il peso delle responsabilità dell’Unione Europea intera.

Quante altre ’emergenze’ dovremo raccontare prima che venga resa sistematica una procedura legale e sicura per il movimento? Quanti altri ‘sbarchi’ dovremo raccontare? Sarebbe doveroso parlare di come l’isola stia lavorando a diventare un’oasi di sostenibilità, per esempio, dando supporto alla comunità di Lampedusa e non scaricando tutto il peso della situazione sull’isola.

Il presidente del consiglio italiano Mario Draghi ha annunciato l’istituzione di una cabina di regia interministeriale per coordinare le azioni del governo sull’immigrazione. L’Italia vorrebbe che fossero ripristinati dei meccanismi di solidarietà europei e delle quote di ricollocamento. Tuttavia il Patto europeo prevede che l’adesione al ricollocamento sia su base volontaria e quindi l’Italia e gli altri stati di frontiera possono ambire al massimo ad accordi multilaterali con alcuni stati europei come fu l’accordo di Malta del 2019.
L’unica questione su cui sembra ci sia concordia in Europa è il potenziamento degli accordi con i paesi di origine e di transito dei migranti per rafforzare il controllo delle frontiere esterne dell’Unione.

L’11 maggio i ministri dell’interno europei hanno incontrato il commissario degli affari sociali dell’Unione Africana e i rappresentanti africani del processo di Rabat e di Khartoum. Hanno partecipato alla riunione anche la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson e il vicepresidente della commissione Margaritis Schinas. Si è parlato di aiuti e lotta al traffico di esseri umani, ma l’idea è quella di stringere accordi per esternalizzare il controllo delle frontiere e fermare o ridurre i flussi migratori. Il 20 maggio la ministra dell’interno italiana Luciana Lamorgese sarà in Tunisia, insieme alla stessa Johansson per negoziare con Tunisi nuovi accordi mirati ad aumentare i rimpatri e a fermare le partenze.

Il tempo delle parole, però, è scaduto. Se uno strumento non funziona, bisogna cambiarlo, battendo strade nuove, come ha fatto Lampedusa mettendosi in gioco e coinvolgendo comuni di frontiera in tutta Europa, per scambiare buone pratiche, con il progetto Snapshots From The Borders e mettendoli in rete con il Border Towns and Islands Network. Non bisogna continuare però a lasciare sola Lampedusa.

di Christian Elia