La pandemia aumenta la sofferenza mentale dei giovani migranti

02 FEBBRAIO 2021

In un nuovo rapporto viene sottolineato come il maggiore isolamento aggravi patologie già molto pesanti

I “migranti” sono una popolazione composita con status amministrativi (richiedenti asilo, rifugiati, nuovi arrivati, ecc.) differenti e con situazioni sociali molto complesse. Alcuni provengono da contesti sociali piuttosto ricchi, sono istruiti, con carriere professionali già ben avviate. Altri, provenienti da contesti sociali svantaggiati o da minoranze perseguitate, non hanno avuto accesso all’istruzione nel loro paese di origine.

Eppure esiste una caratteristica che unisce questo gruppo: la giovane età. Secondo i dati Eurostat, al 1° gennaio 2019, la metà dei migranti arrivati in Europa aveva un età media di 29,2 anni, contro i 43,7 dell’intera popolazione europea.

Questa particolarità è fondamentale per comprendere lo stato di salute di questi ragazzi.
Data la giovane età, la popolazione migrante in Europa gode nel complesso di buona salute fisica – spesso migliore di quella europea generale – ma la situazione è diversa rispetto alla loro salute mentale.  

Molti giovani migranti – il 38% della popolazione migrante, secondo un recente studio condotto da Patricia Loncle, docente di sociologia all’École des Hautes Etudes en Santé Publique (EHESP) e Alessia Lefébure, sociologa e direttrice del centro – soffrono di disturbi mentali (psicotraumi, depressione, tendenze suicide, perdita di memoria, sindrome di Ulisse, che designa lo stress di coloro che vivranno altrove rispetto a dove sono nati), mentre la psichiatria in generale conferma che il processo migratorio in sé non genera patologie specifiche.

I disturbi di cui soffrono i giovani migranti possono derivare dalle condizioni di vita nei paesi di origine (povertà, conflitti armati, persecuzioni, ecc.) o dalle condizioni del viaggio (durata, insicurezza, mancanza di assistenza medica, a volte tortura e violenza), ma possono anche essere collegati alle condizioni di accoglienza nel paese di arrivo.

Molti fattori possono rafforzare una situazione di salute mentale già precaria o generare nuovi disturbi: incertezze legate allo stato amministrativo, difficoltà di accesso ai diritti (alloggio, istruzione o lavoro), violenza istituzionale (repressione o discriminazione della polizia) sono tutti elementi che provocano un forte sensazione di insicurezza e stress tra i giovani migranti.

Questo è tanto più vero per i giovani uomini, che si ritiene abbiano una bassa priorità, in particolare nell’accesso all’alloggio, a differenza delle famiglie con bambini o giovani donne.
Questo comporta periodi di vagabondaggio, miseria, isolamento che deteriorano significativamente le condizioni di salute mentale di questi ragazzi.

Tuttavia, come sottolinea il rapporto, nonostante l’impegno di molti operatori sanitari, le difficoltà nell’affrontare i disturbi mentali nei giovani migranti sono numerosi e reali, sia nel settore ospedaliero che nella medicina ambulatoriale.

Tra questi si segnala l’insufficienza delle capacità di accoglienza dell’assistenza sanitaria, la scarsa comprensione delle procedure amministrative, la necessità di interpreti, le sindromi psicotraumatiche per le quali gli operatori sanitari non sono sempre formati.

Inoltre, i giovani migranti sono generalmente molto poco informati sulle possibilità di assistenza e non cercano assistenza, mentre le misure alternative per “raggiungerli” si basano essenzialmente sul volontariato.

In questo contesto, il settore non profit (sovvenzionato o no) cerca di rispondere in modo specifico ai problemi di salute mentale dei giovani migranti, spesso nell’ambito di un supporto globale: supporto alle procedure amministrative, alloggi solidali, apprendimento della lingua, accesso alla cultura locale.

Le realtà dell’associazionismo di solidarietà, portano un po’ di stabilità e lottano contro l’isolamento delle persone, senza avere necessariamente la missione istituzionale di farsi carico della salute mentale di questi ragazzi. Nonostante la loro presenza disomogenea nei territori, queste iniziative compensano in parte le inadeguatezze del supporto istituzionale.

In un contesto così fragile, la crisi sanitaria legata al Covid-19 ha messo in luce le carenze del sistema: a seguito della chiusura di molti centri, tanti giovani migranti sono stati ospitati in hotel o ostelli della gioventù per non essere abbandonati.

La loro assistenza sociale e sanitaria non è stata presa in considerazione in questi precari luoghi di accoglienza e molti hanno visto la loro situazione di salute mentale peggiorare ulteriormente da marzo 2020.

Le situazioni di salute mentale più critiche, secondo il rapporto, che si concentra sulla situazione francese, si trovano senza dubbio nei centri di detenzione amministrativa (CRA). Secondo il rapporto 2019 della ONG francese Terre d’Asile, decine di migliaia di migranti sono rinchiuse in questi luoghi di contenimento, in vista di essere espulsi dal suolo nazionale (54.000 nel 2019, di cui 29.000 all’estero), tra cui molti giovani non riconosciuti come minori.

La difficoltà di accesso alle cure, in particolare alle cure psichiatriche, nelle CRA in Francia, è stata denunciata anche dal rapporto del Contrôleur général des lieux de privation de liberté (CGLPL) nel febbraio 2019 , seguito, a pochi mesi di distanza, da un rapporto altrettanto allarmante del il difensore civico dei diritti francese.

L’interruzione della continuità assistenziale durante la detenzione amministrativa è particolarmente dannosa per i giovani migranti affetti da gravi malattie mentali.Per gli altri non solo l’assistenza medica è pressoché inesistente, ma la pratica dell’isolamento a fini repressivi spesso aggrava una condizione già a rischio.

La dichiarazione dello stato di emergenza non ha migliorato la sorte dei giovani migranti in detenzione. Infatti, le CRA in Francia sono state tenute aperte durante i periodi di lockdown e sono diventate di fatto il luogo di collocamento di un gran numero di stranieri senza documenti usciti dal carcere, mentre la chiusura delle frontiere ha comportato deportazioni e sfratti.

Tale scelta ha comportato un aumento della pressione demografica (+ 23% in un anno) su questi luoghi che non erano pensati per accogliere persone psicologicamente vulnerabili e per periodi così prolungati.

Per la loro natura di luogo di privazione della libertà e per la loro vocazione transitoria, le CRA sono spazi ansiogeni dove non è facile distinguere la logica della cura da quella del controllo e della repressione e dove la consulenza psichiatrica ha molti altri problemi oltre a quelli terapeutici, perché il medico che presta le cure psicologiche non riesce a garantire tutti i servizi.

Sono in costante aumento in Francia, secondo il rapporto, gli inserimenti in CRA di persone affette da patologie psicologiche e/o psichiatriche, così come gli atti di autolesionismo che hanno portato, dal 2017, alla morte di cinque persone in detenzione.

In Francia, come in Italia e altrove in Europa, un’assistenza efficace alla salute mentale dei giovani migranti si scontra con contraddizioni interne al sistema. Mentre i sistemi sanitari pubblici esistono e sono in teoria aperti a tutti, indipendentemente dalla nazionalità o dalla regolarità amministrativa, lo stato di incertezza e precarietà dei giovani migranti, in situazione irregolare o meno, li rende una popolazione particolarmente vulnerabile ed esposta.

Un legame più forte tra la strategia nazionale per la prevenzione e la lotta alla povertà e le azioni mirate volte a promuovere l’integrazione e la stabilità attraverso l’alloggio, l’istruzione e il lavoro sarebbe senza dubbio in grado di creare le condizioni per una reale prevenzione dei rischi psicologici e una migliore salute mentale.

REPORT

di Christian Elia