#BorderTales – Musa e Marco, un calcio al razzismo

10 FEBBRAIO 2021

La storia del Save The Youths Montepacini FC: dalle Marche un esempio dello sport per l’inclusione

“Marco l’ho incontrato la prima volta nel 2014. Ero arrivato in Italia da poco, con una storia come tanti. Partito dal mio villaggio in Gambia, dopo un viaggio di sei mesi, passando per la Libia, son salito su un barcone di legno, con altre 250 persone. Siamo arrivati in Sicilia, poi ci hanno portato in aereo a Roma e in pullman a Fermo, nelle Marche, dove siamo stati accolti nel Seminario.” Musa Darboe parla un italiano perfetto, racconta con precisione, avendo cura dei dettagli.
“Mentre aspettavo di essere ascoltato nella Commissione territoriale che avrebbe deciso sulla mia richiesta di protezione internazionale, assieme ad altri ragazzi, sono arrivato alla Fattoria Sociale di Montepacini, per svolgere dei lavori socialmente utili.”

La Fattoria Sociale di Montepacini, nei pressi di Fermo, è un luogo della solidarietà, dell’incontro, del mutuo aiuto. Nata negli anni Ottanta, in un’area agricola, è sempre stata un luogo dove praticare inclusione. Dalle dipendenze, nel passato, oggi si occupa di persone disabili e del loro essere parte di un gruppo di persone – tanti di loro come volontari – che attraverso l’agricoltura e lo sport trovano una comunità solidale. “Quando ho conosciuto Musa lavoravo al Comune di Fermo, di formazione sono un educatore”, racconta marco Marchetti. “Alle Fattorie, dopo che sono andato in pensione, faccio il volontario.”

L’incontro tra Musa e Marco, su quella frontiera che a volte non è solo geografica, ma sociale e culturale, ha generato un’energia che in questi anni ha portato a tanti risultati pratici, che rende le parole accoglienza, integrazione, solidarietà realtà concrete.  

“Mentre aspettavo la Commissione facevo il volontario e studiavo l’italiano, lavoravamo con i ragazzi disabili, sono nati dei rapporti molto belli. E quando potevamo, giocavamo a calcio”, racconta Musa. E il calcio, in questa storia, ha un ruolo molto importante. “Per me e per altri ragazzi la Fattoria è stata ed è ancora l’Italia stessa, il luogo dove siamo arrivati, dove abbiamo conosciuto le persone che hanno rappresentato un incontro con una cultura e un modo di essere solidali. Anche i ragazzi che sono arrivati con me, che ora vivono all’estero, mantengono un gran ricordo di quell’esperienza. Io sono rimasto e con Marco siamo riusciti a far tante cose, assieme, come Gianni e Pinotto!”

A Musa è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Marco lo ha aiutato a trovare un lavoro e una casa, ma tutto questo è stato possibile anche grazie a una comunità solidale. “Oggi faccio l’operaio in una grande azienda del territorio e vivo a casa di una famiglia che per me, da tempo, è la mia famiglia. Mi manca la mia famiglia in Gambia, certo, ma grazie a loro non mi sento mai solo. E in particolare nonna Linda è una figura importante. All’inizio era contraria a prendermi in casa, oggi si preoccupa e si prende cura di me: il razzismo nasce dal fatto di non conoscersi.”

Musa, nonostante il lavoro, non ha smesso di fare il volontario alla Fattoria, come Marco. E ancora assieme, attraverso lo sport, hanno continuato a lavorare per l’inclusione, attraverso lo sport, di disabili e di tanti ragazzi richiedenti asilo e rifugiati.

“Nel 2016, dopo altre esperienze di collaborazione sportiva tra ragazzi disabili e rifugiati e richiedenti asilo, abbiamo pensato di iscrivere una squadra mista di ragazzi africani e di ragazzi disabili del nostro centro a un campionato del Centro Sportivo Italiano di calcio a 7. Un campionato vero, dove abbiamo perso tutte le partite”, racconta Marco ridendo, “ma dove abbiamo portato un messaggio e uno sguardo diverso sullo sport: l’aiuto reciproco, con un gran divertimento, è un modo di vivere lo sport con un altro spirito.”

Dopo la prima esperienza è arrivata la Soccer Dream Montepacini. Una formazione di disabili, rifugiati, volontari che attira l’attenzione della Federazione Italiana Gioco Calcio che, nel 2017, contatta Musa, Marco e gli altri per far partecipare la squadra a un campionato riservato alla disabilità di calcio a 7, mentre il team veniva adottato e sostenuto dalla Fermana, la squadra della città.

“Un bel cammino, ricco di soddisfazioni, ma noi avevamo un sogno: partecipare a un campionato professionistico, portando la nostra storia nel calcio ufficiale”, racconta Musa. “All’inizio non ci credeva nessuno, ma siamo andati avanti.” Esisteva già una realtà simile, l’AfroNapoli, ma giocava senza essere tenuta in conto per la classifica.

“A noi è riuscita un’impresa”, racconta Marco. “Oggi il Save The Youths Montepacini FC gioca in Terza Categoria, siam riusciti a superare tutta la burocrazia del calcio, come il dovere di ottenere il passaporto sportivo dai paesi di provenienza dei ragazzi.”

“Ero abituato a giocare a calcio per vincere”, racconta Musa, che della squadra è un ottimo calciatore e il presidente. “Grazie a questa esperienza ho imparato tutto il resto: stare insieme, divertirsi, costruire un rapporto con i compagni e con tutti gli avversari che incontriamo. Noi vinciamo quando scendiamo in campo, non importa se vinciamo o perdiamo. Ci sono ragazzi che provengono dal Gambia, dal Mali, dalla Somalia, Costa d’Avorio, Ghana, sono rifugiati, richiedenti asilo. È una grande esperienza e il bello deve ancora venire!”.

La storia del Save The Youths Montepacini FC ha già ispirato un libro e un documentario, l’organizzazione dei Mondiali di Beach Soccer che si tengono nella vicina Porto Sant’Elpidio ha contattato i ragazzi per formare una rappresentanza pan africana. Il Covid ha rallentato tutto, ma Musa, Marco e gli altri non hanno alcuna intenzione di fermarsi, continuando a portare in giro il loro messaggio di inclusione con lo sport.

di Christian Elia