“In arduis intrepida”

24 LUGLIO 2020

Libia-Italia tra accordi, confini e diritti umani

Negli ultimi anni la Libia si è trasformata in una guerra per procura. Dalla rivolta del 2011 che ha rovesciato ed ucciso il dittatore Muammar Gheddafi, alla lotta di potere che dal 2015 ha contrapposto il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dall’ONU, contro le forze fedeli al Generale Khalifa Haftar, il Paese ed i suoi confini sono nel caos profondo.

Stando a quanto dichiarato dalla Rapid Support Forces (RSF) in una nota, le forze di sicurezza congiunte tra Sudan e Libia hanno arrestato in queste ore 160 persone sudanesi con l’accusa di aver combattuto come mercenari in Libia.

Il mese scorso altre 122 persone, tra cui otto bambini, addestrati e assoldati per fronteggiare una guerra civile a cui non appartengono.

Ed infatti già a gennaio, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite aveva accertato che molti arabi della regione del Darfur nel Sudan, devastata dai conflitti contro al-Bashir e il vicino Ciad stavano partecipando a vari scontri e operazioni militari al fianco delle molteplici fazioni libiche.

A questo scenario interno complesso, si aggiungono questioni ben più note e ormai ricche di strazianti testimonianze che giungono dal Mediterraneo e che narrano la gravosa e tormentata sorte dei migranti in Libia, illegalmente prigionieri in lager illeciti ed indescrivibili, vittime di tratta, di abusi, di maltrattamenti, di violenze, di torture, di catture e di respingimenti. A tre settimane dopo l’avvistamento di un corpo (la cui foto qui non mostreremo in gesto di cordoglio), incagliato ed ignorato in quel che resta di un gommone nel bel mezzo del Mar Mediterraneo, il 17 giugno il Governo Italiano e l’Europa, decidono di legittimare la condotta impunita della cd. Guardia Costiera Libica con nuovi e cospicui finanziamenti (455 milioni di Euro per l’acquisto di gommoni, SUV, autobus ed autoambulanze).

Una decisione incomprensibile, dato che nessuna autorità internazionale riconosce la Libia né come porto sicuro, né come garante della difesa della vita umana sia in mare che in terra.

All’inizio di giugno, il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj ha riconquistato Tripoli grazie a droni armati ed a mercenari siriani trasferiti in Libia da Erdogan. Il 24 giugno, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di ritorno da una visita ufficiale a Tripoli, esprimeva soddisfazione per la collaborazione mostrata del Governo di al-Sarraj nel voler ristabilire e rinsaldare l’alleanza assopita e trascurata dall’Europe e dall’Italia che ha di fatto trasformato la Libia Occidentale in un protettorato turco. L’alleanza tra i due Paesi è vincolata da un accordo militare ed uno energetico firmati alla fine dello scorso anno, che incidono su sostanziosi interessi economici non solo italiani sul Mediterraneo centrale ed orientale. Parte dell’incontro tra Di Maio ed il Governo libico è stato il noto Memorandum – l’accordo stilato nel 2017 dall’allora Governo Gentiloni sulla “cooperazione nel campo dello sviluppo e del contrasto all’immigrazione illegale (traffico di esseri umani, contrabbando, rafforzamento della sicurezza delle frontiere) –  rinnovato automaticamente il 2 novembre 2019 nonostante gli appelli, le denunce e le prove dei quotidiani abusi di cui sono vittime le persone migranti in Libia.

Tornato in Italia, il Ministro Di Maio ha espresso soddisfazione per l’incontro tenuto a Tripoli, sostenendo la volontà della Libia di applicare quei diritti umani sin qui violati. Il Governo libico però non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 e dunque non è obbligato a riconoscere lo status di rifugiato. Tale status viene riconosciuto solo ai cittadini di 7 nazionalità quali Siria, Iraq, Palestina, Somalia, Eritrea, Etiopia e Sudan del Darfur. Inoltre, tutte le Convenzioni firmate negli anni dalla Libia come la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli nel 1986, la Convenzione UA sui rifugiati in Africa nel 1981, la Carta africana sui diritti del minore nel 2000, il Protocollo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa nel 2004, risultano essere state tutte puntualmente disattese.

Eppure, le autorità libiche avrebbero consegnato al Ministro Di Maio una proposta in cui si impegnano nell’assistere i migranti salvati nelle loro acque, a vigilare sul pieno rispetto delle convenzioni internazionali attribuendo loro protezione internazionale.

Una settimana dopo la visita, il 2 luglio, il Comitato misto italo-libico si è riunito a Roma avviando formalmente il negoziato per la modifica del Memorandum. Nel corso della riunione, si legge nella nota della Farnesina “la delegazione italiana ha confermato l’obiettivo di imprimere una svolta sostanziale alla cooperazione con la Libia nella gestione dei flussi migratori irregolari, attraverso il richiamo e il puntuale rispetto delle norme applicabili in materia di diritti umani, un ruolo centrale da riconoscere alle competenti agenzie delle Nazioni Unite e il progressivo superamento del sistema dei centri che ospitano i migranti”. Obiettivo delle modifiche, a tre anni dalla firma del Memorandum che ha demandato la ricerca ed il soccorso nel Mediterraneo alla Guardia Costiera libica, è dunque quello di chiudere i centri di accoglienza, meglio noti per la vigente legge libica come centri detentivi e riconoscere centralità alle Nazioni Unite finora inascoltate.

Di fatto, ancora ad oggi, alle agenzie dell’UNHCR e dell’OIM presenti in Libia resta vietato l’accesso ai centri di detenzione; impedendo di svolgere il loro compito di negoziazione e di controllo delle condizioni di vita dei migranti che sono fortemente limitate e vincolate al benestare delle milizie libiche. Tanto è che, non è loro consentito di entrare nei centri di detenzione illegali, non potendo dunque né testimoniare le condizioni di vita e di salute dei migranti trattenuti, né avere contezza di chi siano, né di quante siano le persone effettivamente costrette a vivere in quei luoghi (si stimano siano circa 2334 persone).

A pochi giorni dal rifinanziamento della missione in Libia, il 20 luglio il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si è recata a Lampedusa per confrontarsi con il Sindaco Totò Martello sulle politiche relative ai migranti che quotidianamente approdano sull’isola.

Nel mentre il Mediterraneo Centrale resta privo di soccorritori e tutte le 4 ONG, per mare e per cielo, sono sottoposte a fermo amministrativo “per aver trasportato un maggior numero di passeggeri rispetto al numero indicato ed approvato nei documenti di trasporto”. Qui la disquisizione si fa puramente tecnico-giuridica perché le persone trasportate non sarebbero da intendersi “passeggeri”, bensì “superstiti” e pertanto, così come indicato nei Regolamenti Marittimi Internazionali, le operazioni di salvataggio naufraghi dovrebbero essere considerate come attività svolte in “situazioni di emergenza e pericolo”, che per propria natura dovrebbero oltrepassare convenzioni e regolamenti.

Secondo l’ultimo report dell’IOM Libya, da gennaio al 13 luglio 2020 si stimano siano arrivate in Italia 6.900 persone via mare; altre 5876 sono state catturate e respinte nei sopracitati centri detentivi illegali; 164 sono scomparse; 98 sono ufficialmente morte. I numeri sembrano essere in calo rispetto allo scorso anno ma gli orrori denunciati e venuti a galla negli ultimi mesi, le condizioni degli accordi presi e l’instabilità politica dei Paesi del Nord Africa, lasciano che questi risuonino come la sequenza di una vera e propria emergenza umanitaria in cui pare naufragare persino la nostra stessa umanità.

di Eleana Elefante